La via alta

 


“tutta la comunicazione è pubblicità, se non è amore.”

Enrico Ghezzi

Non mi rassegno alla mancanza di alternative. Cerco soluzioni capaci di accrescere il numero totale delle possibilità di scelta. Da troppo tempo domina l’ideologia che l’unico mezzo per ricevere soddisfazione sia l’accumulo di denaro. L’opinione pubblica dell’occidente avanzato è convinta che tutto sia traducibile in denaro e che il mercato è l’unico sovrano incontrastato del pianeta. Siamo stati indottrinati dalla propaganda neoliberista a pensare a noi stessi come capitale umano, alle nostre azioni come investimenti, alle nostre responsabilità come debiti. Siamo così convinti che il profitto sia il solo motore del mondo da oscurare qualsiasi immaginazione sulle alternative possibili. Crediamo che i ricchi siano spietati sfruttatori, ladri e corrotti, eppure desideriamo soltanto diventare ricchi come loro, per avere tanti soldi, merci e potere.

La maggior parte della popolazione europea e statunitense pensa di essere oggi minacciata dai paesi cosiddetti emergenti (Cina, India, Brasile, …) che attirano investimenti grazie alla manodopera a basso costo e a pochi diritti, che inquinano e consumano risorse, come abbiamo fatto noi, che accolgono le imprese occidentali per approfittare delle gocce che cadono dai loro lauti profitti. L’unica vera minaccia per il pianeta terra e per la specie umana è, invece, l’avidità, l’infinito desiderio di chi, avendo già conquistato il benessere, insegue il potere al posto della felicità. Per questo, da ormai un secolo, le persone più ricche del mondo hanno cercato di valorizzare l’idea di libera concorrenza sui mercati, legittimando il signoraggio delle banche e la riserva frazionaria, le società senza personalità giuridica e i paradisi fiscali. Tutto è permesso per fare più soldi e gli unici arbitri sono le lobby di nababbi, ma la gente qui non li considera i responsabili delle enormi differenze sociali contemporanee, ma solo imprenditori più bravi degli altri nel destreggiarsi nell’ambiente della speculazione senza regole. Sappiamo che le idee, purtroppo, come la percezione della realtà, si possono orientare, finanche guidare o addirittura condizionare.

Dovremmo cercare la via maestra, come fanno i ragazzi del nuovo millennio, come facevano i nostri avi quando tracciavano nuove piste in territori inesplorati. Abbiamo oggi potentissimi canali d’informazione e condivisione, incredibili risorse tecnologiche in grado di aiutarci in qualsiasi tipo di progetto, fantastici mezzi di comunicazione che ci permettono d’inventare nuove specie di organizzazioni, nuove strutture sociali, nuovi processi decisionali. Non lasciamoci coinvolgere negli innumerevoli inganni quotidiani, strumenti di distrazione di massa, che ci impediscono una progettazione strategica e un’organizzazione operativa condivise. Sono convinto, come David Harvey, che ci voglia un maggior controllo democratico sulla produzione e sull’uso dell’eccedenza, dovremmo cioè decidere, tutti insieme, quanto produrre e cosa fare delle cose prodotte in eccesso. Se oggi la democrazia è in crisi, è perché sembra asservita alle grandi forze finanziarie, alle lobby e alle regole del mercato. In questa prospettiva il voto è inutile, chiunque sia il rappresentante scelto dovrà sottostare ai poteri forti.

Credo che la crisi della democrazia sia proprio dovuta alla concessione di troppo potere al denaro, trasformandola in una plutocrazia. Per questo mi sembra che l’idea democratica non abbia fallito, come il socialismo reale, ma è stata corrotta e rimpiazzata dall’idea del libero mercato e della mancanza di regole. Può sembrare un’ostinazione quella di credere che le persone preferiscano vivere di sentimenti, come la compassione e la solidarietà, invece che di emozioni, come la competizione e il conflitto. Le emozioni sono reazioni chimiche e meccaniche alla realtà percepita, portano a risposte istantanee e automatiche che seguono logiche prevedibili. I sentimenti, invece, sono risposte consapevoli alle emozioni nel tempo, tendenze umane che seguono logiche di comportamento vantaggiose e utili. Se è vero che tutti sono potenzialmente corruttibili, per paura o per ambizione, è anche vero che l’opinione pubblica può cambiare il peso dei valori ed aumentare quello della giustizia, dell’onestà e della reputazione, a scapito del denaro. Qualcuno è ormai troppo ricco per rallentare la sua folle corsa verso profitti sempre maggiori, ma molti di noi possono ancora accorgersi che quello che ci dà più soddisfazione e gioia non lo possiamo comprare, perché ci viene donato gratuitamente dagli altri.

Dovremmo cercare nuove forme di condivisione, di partecipazione e di dialogo. Dovremmo costruire nuovi tipi di organizzazioni dinamiche ed evolutive, basate sulla responsabilità, l’autogestione e l’intesa, invece che solide strutture statiche, basate sull’autorità, la gerarchia e la competizione. Ne abbiamo i mezzi, le capacità e la voglia, ma abbiamo poca fiducia in noi stessi, coraggio e immaginazione. Una strada percorribile potrebbe essere quella dello spazio pubblico locale che rappresenta il bene comune più evidente, utile e controllabile da tutti. Potremmo cominciare a chiederci cosa vorremmo e cosa non vorremmo nel nostro quartiere, per le strade, nelle piazze. Che tipo di servizi pubblici servirebbero, quali bisogni andrebbero soddisfatti, quali effetti o fenomeni dovrebbero essere limitati o incoraggiati. Basterebbero piccole assemblee di poche decine di persone che discutono dello spazio pubblico locale in riunioni periodiche. Vicini di casa con diverse conoscenze e punti di vista che s’incontrano, si esprimono e si ascoltano nel rispetto reciproco. Potrebbero nascere dei gruppi di lavoro, anche trasversali a diverse assemblee, che approfondiscono gli argomenti più complicati, per informare meglio gli altri abitanti. Ogni gruppo potrebbe darsi poche semplici regole per migliorare lo scambio, impedire il sopruso e facilitare le decisioni con processi dialogici orientati per argomenti. Da queste piccole assemblee potrebbero generarsi comitati o movimenti con delle richieste chiare. Potrebbero riunirsi una volta l’anno in assemblee allargate a centinaia di persone con degli oratori scelti per avanzare proposte. Potrebbero allearsi con assemblee di quartieri vicini per fare pressione sull’amministrazione comunale. Potrebbero persino sostituire il consiglio comunale con delle assemblee permanenti, come a Parigi dopo la rivoluzione.

Abbiamo oggi molti più strumenti per esprimerci. Possiamo facilmente condividere idee e servizi da pari a pari. Potremmo gestire i beni e gli spazi comuni, unirci, organizzarci, per rivendicare diritti e scelte. Se non ci lasceremo condizionare dall’ideologia dell’individualismo competitivo, se sapremo resistere agli attraenti elementi di distrazione che circolano sui principali canali di comunicazione, allora forse riusciremo a non restare isolati e proveremo a formare nuove comunità responsabili e conviviali. Tutto nasce dal dialogo tra le persone, da una parola o da un’altra azione che coinvolge due o più di noi. Ci sono sempre delle conseguenze più o meno prevedibili. Parte un processo, coinvolge altri soggetti. Se saprà restare aperto alla partecipazione sarà un processo che durerà nel tempo. Se sarà accurato e duraturo aumenterà il numero totale delle possibilità di scelta.

 

 

 

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