LA STRUTTURA ASSENTE


Comunità di persone che perseguono la libera ed autentica ricerca del tipo di vita desiderato


Nelle città dell’occidente avanzato si sta consumando la fine delle riserve, non solo ambientali ma anche sociali e umane, del pianeta. All’interno di forme urbane sempre più irriconoscibili, costellazioni sparse in galassie giuridiche e finanziarie, arcipelaghi indistinti che nascondono isole di miseria ed opulenza impermeabili, le persone sostano senza più insediarsi. Abbiamo quasi completamente rinunciato al nostro diritto alla città. La sregolatezza dell’economia di mercato ha subordinato tutti i ruoli della persona (cittadino, abitante, contribuente, elettore, soggetto giuridico, …) nella sola figura del consumatore, obiettivo e bersaglio della produzione industriale per reinvestire il plusvalore e alimentare la crescita senza fine. E così aumentano i tentativi di difendere i diritti dei consumatori, con i contratti commerciali, con i requisiti minimi, le marcature, la trasparenza, i quali finiscono soprattutto per ostacolare i piccoli produttori più che tutelare veramente i consumatori i quali, accecati dalla fiducia nei dogmi del mercato elevato ormai a fenomeno naturale, dimenticano di pensare a tutti gli altri diritti che stanno rapidamente perdendo.


Una società plutocratica globale si è ormai insediata su tutti gli stati un tempo sovrani e un’oligarchia di nababbi governa sul mondo. Molte persone, anche all’interno dell’oligarchia, sono coscienti di essere in rapido avvicinamento verso la soglia dell’auto-distruzione, per il surriscaldamento climatico, per l’inquinamento dell’aria, dei mari, dello spazio (libere discariche), per la rapida riduzione della biodiversità, per la nascita di nuove malattie, per l’aumento delle differenze sociali e della corruzione, e cercano strategie diverse per sopravvivere secondo due tendenze opposte. Da una parte si cerca di regolare le forze economiche e finanziarie del pianeta in modo da assicurare sempre la quantità delle risorse naturali e la qualità dell’ambiente nella biosfera, dall’altra parte si perseguono scenari tecnologici con una popolazione mondiale ridotta, per una sorta di selezione naturale dove i più ricchi prevalgono sui poveri.

Di fronte a questo quadro d’insieme, così conflittuale e catastrofico, i piccoli problemi locali e i diritti dei cittadini rischiamo di passare in secondo piano, ma sarebbe un errore. La coscienza globale ci permette di trovare l’azione giusta per ciascuno di noi, commisurata alle sue possibilità, suggerita dalle sue necessità, adeguata al contesto. Visto che il potere di cambiare è nelle mani di poche persone che non hanno alcun interesse a farlo, sono quelli che non hanno potere o ne hanno poco a doversi aggregare per cambiare, per reclamare e per proporre, per esigere e resistere, per chiedere e ottenere.
Ma la capacità di aggregarsi si sta riducendo rapidamente perché si sono degradate quelle organizzazioni, nate nel secolo scorso, che dovrebbero organizzare la protesta, i sindacati, i gruppi sociali, ambientalisti, religiosi, i partiti politici. Negli ultimi anni, per dare voce alle moltitudini, coscienti e impotenti, nascono nuovi centri d’aggregazione  non-organizzati, intorno a simboli (occupy wall street o gilet gialli), personalità (greta Thumberg o Edward Snowden), giornali (wikileacks) o altro ( movimenti per la terra, femministi, pacifisti, …). La forza di questi agenti d’aggregazione è tuttavia assai limitata a causa della loro durata, di solito piuttosto limitata, della debolezza della loro struttura interna, facilmente contaminabile e corruttibile, della loro mancanza di regole e principi chiari. Per questo tutti i tentativi di attirare le moltitudini insieme alle organizzazioni internazionali a dibattere sul clima o sulla società seguono una curva di partecipazione con una rapida ascesa ed una costante discesa. Il cittadino consumatore non riesce a sentire questi problemi a lui vicini. Può protestare debolmente per il degrado dello spazio pubblico urbano, contro un inceneritore o un aeroporto, ma quello che vuole innanzitutto è un reddito che gli permetta di consumare i prodotti industriali del mercato globale ( soprattutto mobilità, intrattenimento e cura della persona). Quando la capacità d’acquisto si riduce troppo il popolo alza la testa e scende in piazza, i più giovani ed esuberanti si sfogano con violenza contro quei simboli del lusso che a loro sono negati. Possono resistere anche molto a lungo, ma poi devono smettere, l’opinione pubblica è stata scientificamente modificata e non li sostiene più, alcuni rischiano di perdere anche il poco che avevano, altri si dichiarano soddisfatti da una piccola concessione dello stato.
Quindi, da una parte abbiamo una corsa folle verso la distruzione dell’ecosistema e della specie, dall’altra una società narcotizzata dal consumismo e governata da una minoranza di super-ricchi in grado di dettare ordini agli stati.
Non va sottovalutata la potenza di tutte le nuove tecnologie di influenza e controllo di cui dispongono i ricchi. I principali canali di comunicazione tradizionali e social sono regolarmente pilotati per orientare l’opinione pubblica, generare desideri, incanalare la rabbia. L’elaborazione dei dati e la profilazione dei consumatori permette d’intraprendere azioni preventive quasi automatiche per raggiungere particolari risultati, in modo che la nostra reputazione sarà legata a note biografiche che non volevamo divulgare e magari neanche vere, ma dedotte da qualche algoritmo neuronale che simula l’intelligenza, già fallibile, di un valutatore senza però una personalità giuridica che se ne prenda la responsabilità. Senza contare l’apparato tecnocratico finanziario ciclopico, dalla banca mondiale ai paradisi fiscali, dalle agenzie di rating ai prodotti finanziari derivati e prestiti subprime. Questo sistema d’investimento dalla solidità granitica si regge in realtà sugli accordi segreti di piccole comunità di multi-miliardari che gestiscono fondi d’investimento in grado di polarizzare a loro piacere il denaro che circola sulla terra. Il denaro non è altro che un documento legale che attesta il corrispondente valore materiale, non ha alcun valore, attesta il valore ed è completamente svincolato da esso, viene stampato in più o in meno a seconda delle esigenza del mercato, cioè a seconda del numero degli scambi, dei debiti e dei crediti dei vari paesi tra loro. Il denaro è lo strumento fondamentale per consolidare l’unità d’intenti tra le varie politiche nazionali con i mercati finanziari. Grazie alla banca mondiale infatti i governi vengono continuamente controllati attraverso il debito e il valore dei titoli di stato che consentono alle grandi forze finanziarie di pilotare l’investimento statale del surplus, per esempio verso infrastrutture stradali invece che scuole, sotto la minaccia continua dell’ulteriore riduzione del rating, cioè della capacità di attrarre capitali esteri. Utilizzando la stessa minaccia sono stati tolti diritti ai lavoratori e privatizzati servizi pubblici, salvo poi ammettere che i capitali stranieri sono attratti dalla speculazione, cioè dal maggior profitto nel minor tempo e al minimo investimento, e quindi comprano per poi rivendere a qualcuno che sposta la produzione dove la manodopera è meno cara o dove si concedono ancora meno diritti ai lavoratori.
Le agenzie di valutazione finanziaria hanno il compito di orientare il consumatore verso gli investimenti che più probabilmente soddisferanno le aspettative, che avranno un maggior rendimento, che moltiplicheranno i soldi investiti per un indice più alto. Il parametro unico di valutazione è l’aumento del capitale. Ma queste agenzie, per arrivare alle loro conclusioni, incrociano una grande quantità di informazioni di tipo quantitativo e qualitativo. Se un impresario deve scegliere dove costruire un nuovo palazzo, in modo da guadagnare il più possibile dalla successiva vendita, chiede a degli esperti di valutare le aree per lui. Gli esperti consulteranno allora altre classifiche (la qualità della vita, la qualità ambientale, i servizi pubblici, le scuole, la sicurezza, la mobilità, ecc…) e cercheranno di capire dove ci saranno più compratori interessati e per quale gamma di prezzo. Così si alimenta la competizione tra i paesi, le città, i quartieri, le scuole, i negozi, le persone. La competizione porta all’accelerazione dei fenomeni e delle prestazioni, al moltiplicarsi delle regole e delle aspettative e la conseguenza è che le persone si sentono sempre più isolate, colpevoli ed alienate. Ecco allora un diritto calpestato che non è mai stato enunciato, riconosciuto, reclamato né tantomeno garantito: il diritto ad una comunità non competitiva.

In questa lettura trasversale dei fenomeni presenti si può confondere tutto, dagli sprechi alla speculazione dai diritti negati alle guerre, per riuscire a dimostrare, a convincere, a sottolineare che c’è bisogno urgente di reagire localmente e collettivamente per reclamare la giustizia che manca, in campo sociale, economico, ecologico, culturale. Occorre dotare la protesta di un’organizzazione semplice e graduale, di un sistema decisionale e di rappresentanza che copra le persone nel locale e le cose nel globale. Se riusciremo a condividere dei principi, valori e diritti allineati a questo momento storico potremo sperare di tornare ad appartenere a comunità di persone che perseguono la libera ed autentica ricerca del tipo di vita desiderato.

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