Forme di città
Siamo nati da genitori urbanizzati, figli di inurbati di inizio ‘900. La storia delle rivoluzioni ci sembra lontana e le città sono la nostra casa. Le città sono energivore, inquinanti, alienanti eppure sentiamo di appartenervi come cittadini del mondo. La vita nelle campagne è più faticosa, monotona, provinciale, mentre in città ci sono i servizi, succedono cose, arrivano e partono merci e persone. E’ più gratificante abitare al centro di un nodo planetario ed è più facile diventare ricchi in città.
Però, se consideriamo la città da un punto di vista ecologico, è ovvio che consuma più risorse del necessario, l’energia elettrica, il petrolio, le materie prime e i rifiuti si spostano continuamente lungo collegamenti stradali, aerei e marittimi e si concentrano nelle città.
Per ristabilire l’equilibrio ecologico sulla terra dovremmo ridimensionare le comunità umane in modo di adeguarle alle risorse naturali del territorio su cui incidono. M. Bookchin
Le città fortificate immaginate nel rinascimento, la città giardino di Howen, il falansterio di Fourier, erano tutti esempi di piccole città che si auto-governavano. La sorte ha voluto che fosse costruita la Barcellona di Cerdà e la Parigi di Houssmann. Dopo le grandi guerre occorreva ancora ingrandire le città, per assorbire l’eccedenza di capitale ed investirla in “beni immobili” così vennero costruite le periferie funzionaliste di Le Corbusier e i grattacieli di Hugh Ferriss, mentre la città ideale di Wright, dove ogni casa era circondata da un ettaro di terra arabile, si tradusse nei verdi e sconfinati sobborghi di villette con giardino. Più recentemente assistiamo al dilagare di una visione elettronica ed immateriale della città, come rete planetaria di individui iper-connessi, nella quale l’ambiente è immagine interattiva e le persone sono icone. Il primo effetto concreto è il degrado dello spazio pubblico urbano. In periferia non c’è manutenzione e cura per parchi, piazze e giardini, calano i servizi pubblici come le sale spettacoli, i presidi medico-sanitari,i campi sportivi o le piscine. In centro lo spazio pubblico è soffocato dalle merci in vendita, affollato, sotto alto controllo, sottratto agli abitanti per attrarre capitali, posti di lavoro, turisti. Due tipi di degrado, molto diversi tra loro, si confrontano quotidianamente in ogni città: la riduzione dei servizi in periferia e l’aumento delle pressioni globali in centro. Il confine tra queste due città tende ad assottigliarsi, si riducono le zone intermediarie, la soglia diventa un limite e nascono barriere fisiche oltre che sociali. Le città di oggi sono il risultato di un governo plutocratico, del capitale e del profitto, dei ricchi uomini migliori e magnanimi, secondo la teoria del trickle-down o teoria della goccia che cade a terra come ricompensa redistributiva per le classi più povere.
Ma sopravvivono
anche voci contrapposte al modello dominante, persone e gruppi che immaginano
possibilità future alternative, utopie concretizzabili solo a patto che tutta
la cultura dominante chieda il cambiamento. Sono voci che si rifanno a teorie
comuniste, anarchiche, libertarie, oppure a principi religiosi, nazionalisti e
indipendentisti, ma hanno tutte in comune un’idea di città più piccola,
controllata dagli abitanti, una città di villaggi.
Il villaggio e
il paese, sono anche gli insediamenti immaginati dall’ecologista Jacques
Cousteau e dall’urbanista Paul Virilio, mentre antropologi come David Graeber e
Gavid Harvey immaginano soprattutto la società che potrebbe abitarli, il tipo
di organizzazione economica e politica, partendo da una tradizione comunalista e
libertaria che fa riferimento a neo-anarchici come Rousseau, Kropotkin, Bookchin
e Chomsky.
L’idea è che le leggi si propongono, si discutono e si decide nelle assemblee generali degli abitanti, organizzate in comunità non troppo grandi, i municipi, vicine e confederate tra loro. La gestione della politica sarebbe affidata a consigli di persone qualificate ed elette, il cui mandato può essere revocato in qualsiasi momento. Il dibattito si è molto acceso negli ultimi dieci anni, tra il 2008 e il 2021 - in seguito alla crisi del debito sovrano, all’accelerazione del mercato finanziario, all’aumento delle disparità - contrapponendo il neo-liberismo urbano e il municipalismo agrario. Il principale risultato di questo dibattito, soffocato sui grandi network privati ma virale su internet, è l’aumento della consapevolezza delle comunità urbane sul consumo di risorse e sulle ingiustizie sociali.
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