no eco no party
Micrometropolitana di Firenze (progetto 2003) |
La sensibilizzazione riguardo alle tematiche ambientali, negli ultimi vent’anni, ha iniziato a influenzare l’opinione pubblica e ha generato nuove regole governative e nuova comunicazione promozionale da parte delle imprese. La comunità europea cerca di orientare le scelte degli stati attraverso incentivi finanziari. Sono favoriti processi volti all’efficienza energetica degli edifici, agli impianti di risorse rinnovabili, al riciclo dei materiali, ai trasporti collettivi e altro ancora. Le imprese private a loro volta pubblicano un’immagine di impegno ecologico, in difesa dell’ambiente e sostenibile. Le società che più investono in questo tipo di comunicazione sono spesso quelle che arrecano più danni all’ambiente, quelle più energivore, farmaceutiche, elettroniche o chimiche, mostrando un ambientalismo più di facciata che reale (greenwashing).
Il fenomeno sta assumendo proporzioni tali da mostrare un macroscopico paradosso. Il tema ambientale è per definizione globale, riguarda tutti gli stati del mondo e tutti i suoi abitanti singolarmente. La grande disparità finanziaria tra i popoli della terra e la logica imperante (e imperativa) del consumo come veicolo per la felicità genera uno scenario per cui chi è ricco può permettersi non solo di nutrirsi in modo più sano e vivere in aree più salubri ma anche di inquinare meno. In occidente si abita in fabbricati efficienti, con pannelli solari e pompe di calore, in città “intelligenti”, con efficaci mezzi di trasporto collettivo, un traffico scorrevole, grandi parchi e piste ciclabili. Nei paesi più poveri o di recente industrializzazione il tema ambientale non è altrettanto centrale perché i bisogni delle persone sono ancora concentrati sui beni di consumo, l’auto, la televisione, il telefono, la lavatrice, ecc … In questi paesi, dove tra l’altro abita la stragrande maggioranza delle persone, si è appena iniziato a godere dei lussi dei quali l’occidente approfitta già da oltre mezzo secolo e di conseguenza iniziano ora, anche loro, a danneggiare l’ambiente.
I paesi ricchi continuano a inquinare e consumare le risorse dell’ambiente ma si sforzano di avviare costosi processi di sostenibilità ambientale. Visto il carattere globale del problema ambientale, però, questi sforzi saranno inutili se tutti gli abitanti dei paesi poveri pretendono di iniziare a inquinare e consumare come quelli dell’occidente avanzato. Il pensiero che sorge spontaneo è spesso quello che semplifica il problema, quello che si schiera con un giudizio, quello che vede solo nei poveri la causa dell’inquinamento e l’ostacolo alla svolta ecologica. Ecco allora che l’ecologia diventa un bene di lusso, uno status-simbol (pensiamo al successo di Tesla) un valore aggiunto che non tutti possono permettersi. Con la differenza che chi non può permetterselo non è solo un povero da compatire ma soprattutto un incivile, un delinquente ed un egoista che inquina e maltratta il “nostro” ambiente. Ecco una nuova ragione per criminalizzare la povertà che incarna il paradossale giudizio di colpevolezza dei giurati occidentali nei confronti degli imputati delle economie emergenti. Invece di distribuire meglio la ricchezza, perché tutti possano inquinare meno, si preferisce mantenere i poveri come capro espiatorio, unici colpevoli di vanificare i nobili tentativi dei ricchi.
Seguendo questa logica potremmo immaginare di assistere all’utilizzo strumentale delle ragioni ecologiche per motivare condanne esemplari al povero che inquina, dalle multe a chi non ha cambiato caldaia, ai dazi sulle importazioni di chi non applica le nuove regole in difesa dell’ambiente, alle guerre per esportare l’ecologia.
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