Figli di schiavi

 

Le nuove persone che nascono oggi vengono al mondo con una madre ed un padre che si occupano di loro, per 15, 20, 25 anni. I genitori alimentano, educano, istruiscono i figli gratuitamente, investendo tempo e denaro senza nessun tornaconto, in perdita, come fanno tutti gli animali. I figli, una volta cresciuti, vanno via di casa e iniziano a lavorare per mantenersi. Lavorano spesso per qualcuno che gli impone ordini, orari e regole. Se lo stipendio è buono riusciranno a loro volta a fare figli, a mantenerli ed educarli in modo che domani trovino un lavoro che permetta loro di fare figli, di mantenerli ed educarli e riprodurre così il sistema.

L’antropologo David Graeber osserva gli aspetti comuni di questo sistema con la schiavitù. Grazie alla separazione della sfera domestica da quella lavorativa oggi qualcuno può sfruttare il lavoro di persone adulte senza aver investito risorse nella loro crescita e formazione. Allo stesso modo gli schiavi provengono da territori lontani e chi li rapisce “ruba” il lavoro dei famigliari che l’hanno cresciuto. Un altro aspetto è una specie di “morte sociale” per il fatto che le relazioni sociali e famigliari sono annullate, almeno in teoria esse non dovrebbero influire sul lavoro. Infine, in entrambi i casi, per il lavoro delle persone viene corrisposto dall’acquirente un valore venale, in denaro, al mercante nel caso degli schiavi, al lavoratore stesso nel caso del salariato.

A queste similitudini si potrebbe aggiungere il fatto che, come uno schiavo può essere riscattato pagando una somma sufficiente al suo padrone, così un lavoratore salariato potrebbe smettere di lavorare una volta pagato il suo debito di formazione verso la famiglia o verso una banca. La persona che per vivere ha bisogno dello stipendio non è più libera perché deve ubbidire agli ordini e rispettare le regole del “datore di lavoro”. Ma la cosa più sorprendente è che in entrambi questi processi l’attività di mantenimento ed istruzione dei figli non è riconosciuta né remunerata, solo il processo di produzione di merci o servizi lo è. Per questo il lavoro, di solito svolto dalle donne, dedicato alla manutenzione e cura della vita e dell’economia domestica, all’educazione ed all’alimentazione dei famigliari, alla pulizia ed al decoro della casa, non viene affatto riconosciuto nella società contemporanea; ad esso non corrisponde alcun valore in denaro.

I figli sono sempre stati risorse economiche, oltre che sociali, perché contribuivano all’economia famigliare. Così come un tempo venivano mandati presso una famiglia più ricca per rendere un servizio e approfittare di una posizione sociale più alta, oggi vengono mandati nei paesi più ricchi per lo stesso motivo. Ma per aumentare il profitto si devono tenere bassi gli stipendi, è quindi meglio spostare la produzione in paesi più poveri piuttosto che permettere alle persone di avere figli. Nei paesi ricchi ci si possono permettere figli solo se si riesce a fare carriera, di solito grazie alla famiglia o alle conoscenze, spesso molto tardi.

La natalità dei paesi ricchi è in calo da 50 anni, mentre la natalità è più alta nei paesi poveri. Dove la speranza di vita è più bassa si investe ancora sui figli da “vendere”, sperando che paghino il loro debito di riconoscenza come li obbligano a fare le banche. Ma sono investimenti volatili, ad alto rischio. 

Per la classe media di oggi fare figli è un pessimo affare.

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