SOTTOBOSCO
- Perché non vai a votare?
- Non c'è nessun leader al quale mi sento di dare la fiducia.
- Non c'è nessun modello alternativo a quello attuale.
- Lasciamo che persone più competenti e intelligenti trovino il miglior modo di governarci.
Chi non dissente, in qualche modo, acconsente, come diceva Hannah Arendt. Bisogna ammettere che la grande massa silenziosa è confusa, distratta, impotente e alienata. Oggi, come dimostra l’attivismo della società civile, l'astensionismo non è più rassegnazione, ma protesta e rifiuto. Gli elettori disapprovano gli eletti e non credono più nei programmi, nei partiti e nei candidati. Votare significherebbe sostenere, o almeno riconoscere, un sistema che non vogliono, dove poche persone, ricche e ben organizzate, riescono a tenere sotto controllo grandi masse di persone, povere e disorganizzate. Questo sistema di potere è mantenuto facendo leva sul desiderio dei poveri di diventare come i ricchi, cioè spietati sfruttatori e ladri corrotti, con tanti soldi, merci e potere. È un sistema solo apparentemente solido, in realtà è molto fragile e può essere cambiato facilmente, perché alle persone non piace. La gente si mobilita direttamente, sempre più spesso e in sempre più paesi, ma sono fenomeni puntuali, slegati tra loro e poco organizzati. È un rumore di fondo, tenue ma continuo, un brulicare di attività che si diffondono e si moltiplicano. Il sottobosco del dissenso è fertile, ma gli manca un'organizzazione, per autogestirsi e progettare il futuro.
Un ecosistema vivente e aperto dovrebbe resistere e sostituire le grandi organizzazioni gerarchiche. La struttura a rete del web e dei social si presta bene a tale scopo perché è in grado di autoalimentarsi, può rigenerarsi da ogni sua parte e, grazie a queste caratteristiche, subordina tutti i cambiamenti al mantenimento dell'organizzazione stessa. Una struttura non-gerarchica è difficile da organizzare in quanto è un fenomeno che emerge spontaneo, dove liberi osservatori si adattano alla situazione cercando di impedire, sempre, ogni forma di abuso. Un movimento così dovrebbe basarsi sulla qualità dei rapporti più che delle singole persone. Si dovrebbero privilegiare i contenuti agli autori, l’altruismo al potere, la moltiplicazione delle scelte alle decisioni, le alleanze alla concorrenza, per definire obiettivi comuni e far convergere le energie. Come diceva Henri Lefebvre chi abita e lavora in un dato territorio deve poter decidere come governarlo, trasformarlo o proteggerlo. Questo diritto fondamentale potrebbe essere reclamato da tutti, un diritto alla responsabilità, un desiderio di partecipazione.
Nell’epoca delle macchine pensanti la concentrazione di potere nelle mani di pochi riduce la forza contrattuale dei lavoratori, perché sono sostituibili, ricattabili e deboli. La logica del profitto che guida quei pochi grandi gruppi di potere sta consumando il pianeta ed è urgente riconoscere le risorse della natura e delle persone come valori universali. L’organizzazione costruita dal basso va sostenuta, dandogli spazio nelle nostre città e tempo nelle nostre vite. Dobbiamo trovare nuovi luoghi d'incontro e di dialogo. Non si tratta più di coscienza di classe e di mezzi di produzione, oggi serve una presa di coscienza globale e un’evoluzione dei sistemi decisionali verso forme adattabili e davvero egualitarie, per difendere l’ambiente e la biodiversità, la dignità del lavoro e dell’agricoltura, la cura e la libera espressione delle persone.