Non partecipo, abito e incontro
Di solito, all’udire la parola “partecipazione”, si assiste ad uno spettacolo di mimica facciale molto variegato, sorrisi compiaciuti, cenni di consenso del capo, fronti che si arricciano, occhi rivolti al cielo o risatine ironiche. Il Rottamatore (all’epoca alias di Matteo Renzi) nel 2010 chiamò tutti ad esprimersi su 100 luoghi della città, se ne parlò per quasi tre mesi, ma servì solo a lui. Se ne parla tanto che sembra che esista, la partecipazione, ma le cose peggiorano e quindi non funziona.
In realtà si tratta per lo più di consultazione del tipo “cosa ti piacerebbe?” oppure informazione come per i piani urbanistici: “Ecco, questo è il nuovo Regolamento Urbanistico, avete 60 giorni per fare osservazioni, ma per essere ascoltati dovete avere almeno 2000 mq di terra in città”, oppure siete possibili investitori di un certo calibro, banche, corporazioni, sennò dovete trovare degli errori legali. I soli che possono sperare di esercitare un certo controllo sul comune sono gli ordini professionali, l’università, le principali associazioni e fondazioni cittadine, perché il governo burocratico si è trincerato dietro apparati normativi sempre più impenetrabili ai comuni cittadini. Siamo arrivati al punto che la gente non ha più voglia di esprimersi perché non capisce, si sente incapace, inadeguata, ignorante e ingenua oltre che palesemente impotente.
“Cosa partecipo se non capisco neanche le domande? Volete prenderci in giro? Vogliamo solo difendere quello di cui abbiamo bisogno!” Perché non parliamo delle cose da cui dipende la nostra esistenza e che sono minacciate, cominciando dall’aria che respiriamo, dal cibo che mangiamo, dai luoghi che abitiamo, dagli spazi in cui ci muoviamo. Proviamo a descrivere le nostre lamentele e definire così un territorio, non fisico ma d’influenza, dove vogliamo poter scegliere. Rendiamoci conto che è la politica ad essere superata, inadatta ad affrontare il nuovo ambiente. I partiti sono livellati su idee del mondo precedente basate sulla produzione e sulla crescita infinita. Sono politiche irrazionali, di opinioni emotive e descrizioni distorte della realtà.
Ora viviamo in un pianeta globalizzato nel quale l’abitabilità stessa è in pericolo. È un problema immenso, esteso su tutta la biosfera e su centinaia di anni. Bruno Latour, sosteneva che c’è bisogno di creare collettivi multidisciplinari dove prendere consapevolezza e dare un nome ai nuovi problemi dell’ecosistema terrestre. Per lui si devono usare tutti i mezzi, dalle mostre agli spettacoli teatrali, dalle manifestazioni ai dibattiti, dalle azioni esemplari alle parole delle canzoni, per creare una nuova classe ecologica, fiera della sua nuova sensibilità e pronta a rivendicare le proprie scelte.
Non ci sono ricette o modelli da seguire, dobbiamo trovare da soli il nostro modo di scegliere. Ci sono, già oggi, tanti esempi di città dove gli abitanti possono controllare le decisioni di politica locale, in vari modi e con sempre più strumenti a disposizione: il bilancio partecipato, i referendum, le votazioni on-line le applicazioni per i telefoni, i laboratori di progettazione, ma lo strumento funziona solo se c’è una comunità disposta ad agire insieme, nel momento giusto, con le condizioni giuste. Se la congiuntura, quasi astrale, di tutti gli elementi si verifica, sarà perché le coscienze sono pronte, i livelli d’azione sono stati chiariti e le alleanze ci permettono di entrare in risonanza.
Ok, la complessità della situazione è spaventosa, ma si dovrà pur trovare un modo per ridurre la frustrazione di chi sta perdendo i beni indispensabili per vivere. È importante manifestare il nostro dissenso contro i “poteri forti” e le ingiustizie, i motivi non mancano: multinazionali, banche, armi, combustibili fossili e così via, ma dobbiamo anche ricordarci di difendere i beni comuni, per rispettare le necessità di tutti, partendo dai meno fortunati, dando a tutti una casa, un lavoro gratificante, degli spazi dove incontrarsi e organizzarsi.
Se c’è la giusta energia e le giuste condizioni si può sperare di trovare il nostro particolare modo di arrivare a scelte condivise. Un nuovo fenomeno sociale potrebbe nascere dall’incontro tra operai licenziati e giovani ecologisti, tra studenti e immigrati, tra turisti e abitanti. Si può iniziare dalle scuole, dalle biblioteche, dalle mense, dai teatri, dalle case del popolo, dalle parrocchie, ma dobbiamo trovare il modo di far durare a lungo il processo di cambiamento, con effetti anche molto lontani nel tempo.
La partecipazione degli abitanti promossa dalle amministrazioni ha poche possibilità di successo. Sono iniziative che, anche se nascono con le migliori intenzioni e spesso non è così, sottraggono autonomia ai partecipanti, inquadrandoli e limitandoli. Quello che viene chiesto alla politica è di farsi da parte e non inquinare il dibattito. L’amministrazione pubblica invece dovrebbe cercare di favorire, in ogni modo, il crearsi delle condizioni più propizie per le iniziative degli abitanti: fornire spazi, diffondere informazione, stampare opuscoli, coordinare azioni…
L’abitabilità del mondo di domani dipende dalle scelte, anche piccole, di oggi. Non si tratta di partecipare, né di decidere, ma di incontrarci per fare in modo di “accrescere il numero totale delle possibilità di scelta” (H. Von Foerster).
