NON MI PIEGO ALL'IMPIEGO

 


Lavoro come bene supremo, fondamento della cosa pubblica, diritto fondamentale, anche se inutile, alienante, deprimente, anche se stressante, massacrante, pericoloso.

Davvero vogliamo accontentarci di difendere un lavoro che ha il solo scopo di darci un salario col quale comprare merci e servizi? Un lavoro che è sempre più un impiego, appartenente alla sfera del valore e non a quella dei valori, che ci procura soldi per comprare dei beni ma non ci procura dei beni per prenderci cura e sostenerci a vicenda. E’ così da quando si è separato il lavoro dall’abitare, sono nati i luoghi di lavoro (che fino alla metà del ‘700 erano dentro o vicino a casa) per separare i lavori che producono reddito da quelli che curano il prossimo (per esempio le casalinghe) senza alcun riconoscimento monetario. Da allora il lavoro è sempre stato misurato sulla quantità di valore piuttosto che sulla qualità dei valori.

La globalizzazione sposta la produzione, l’automazione provoca la disoccupazione, così il ricco occidente s’inventa dei lavori per occupare tutti. Sono spesso lavori inutili e le persone se ne accorgono, non riescono a giustificarne l’esistenza ma si sentono obbligati a far finta di niente perché gli danno un reddito. Molti lavoratori, soprattutto nei servizi, ammettono che per svolgere i loro effettivi compiti  impiegano solo il 40% del tempo che passano al lavoro. Per questo sono frustrati e molti utilizzano le ore di lavoro per informarsi, studiare, imparare o impegnarsi politicamente e socialmente. Però è lavoro remunerato che permette di pagare i debiti e consumare beni non più comuni, come l’istruzione e la sanità.

Lavoro ad ogni costo, perché è il solo modo di ridistribuire la ricchezza sempre più concentrata in prossimità dei capitali. Chi può investire approfitta della concorrenza globale dei prezzi, dell’automazione industriale e delle tecnologie di calcolo ed algoritmiche. Chi non ha capitali invece si deve indebitare per un’auto, una casa, l’università migliore per i figli, è normale che voti chi gli garantisce il lavoro, a costo di perdere qualche diritto, di sentirsi inutile o umiliato, per potersi prendere cura dei propri cari ed offrir loro una vita “media” rispetto al contesto in cui abitano. Finché ci saranno impieghi e non lavori saranno sempre subordinati alle logiche del marketing strategico, in una guerra economica presentata come una battaglia per l’occupazione che obbliga i salariati a sostenere le multinazionali per salvare posti di lavoro. I lavoratori indebitati non fanno sciopero.

Proviamo a chiederci se il nostro lavoro aiuta la gente, se è veramente utile e indispensabile indipendentemente dal denaro che ci procura. Se siamo insegnanti, infermieri o spazzini probabilmente risponderemo di si, ma in tanti altri casi ci accorgeremo che no, il nostro lavoro non aiuta nessuno. Forse ci sentiremmo più utili aggiustando biciclette o vendendo gelati, ma forse saremmo anche meno orgogliosi, perché guadagneremmo meno denaro. Mentre cinquant’anni fa si diceva che il prestigio di una persona è direttamente proporzionale alla sua distanza dalla produzione reale, oggi si potrebbe dire che il prestigio di una persona è direttamente proporzionale al denaro che guadagna. Gli eroi dei nostri tempi sono i campioni sportivi, gli attori e i cantanti (Stiamo parlando di centinaia di milioni di dollari l’anno) o i  menager d’azienda, che arrivano a guadagnare più di 700 volte di quello che guadagna un operaio semplice.

Le considerazioni più diffuse su questi argomenti sono sempre le stesse. Sono posizioni ideologiche, gli altri non la pensano come te e comunque non c’è mai stato tanto benessere, la democrazia rappresentativa ed il liberismo economico sono il miglior sistema  possibile per la società contemporanea, non è perfetto ma non ci sono modelli migliori. E’ la stessa logica che ci dice di non votare un opposizione di minoranza perché non lo farà nessuno e il tuo voto andrà perduto, mentre sarebbe stato utile per uno dei due partiti di maggioranza. In realtà le persone sono meglio informate, sempre più in grado di percepire criticamente la realtà e ci stanno strette in questo sistema che trovano ingiusto, opprimente e distruttivo. Le alternative sono tante e si fondano sulla cura, l’altruismo e la solidarietà per tornare a lavorare tutti per il bene comune.

 “Il lavoro autentico risponde al bisogno dell’individuo di appropriarsi del mondo che lo circonda, di imprimere la propria orma, e di percepirsi, a partire dalle trasformazioni oggettive realizzate, come soggetto autonomo e libertà pratica (A. Gorz).”

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