PRENDI - la tua - PARTE
Diamo dei soldi a un'organizzazione per sapere cosa vogliono gli abitanti. Si organizzano degli incontri, tavole rotonde, passeggiate, aperitivi, spettacoli, duranti i quali gli operatori parlano con gli "utenti" e li ascoltano. Le persone che vanno a questi eventi sono sempre simili, giovani, istruiti, benestanti, fiduciosi nella partecipazione, che vogliono sentirsi bravi cittadini attivi, in cerca di spazi per promuoversi o incontrarsi.
Si formano gruppi di persone omogenei e solidali che, anche orientati dagli operatori dell'organizzazione, esprimono preferenze - certo non decisioni - riguardo ai loro desideri. Le richieste sono spesso simili alle cose di cui hanno fatto esperienza durante il percorso partecipativo: spettacoli, performance, installazioni artistiche, aperitivi, cioè una programmazione, degli usi temporanei, degli eventi.
La partecipazione calata dall'alto - quella che ci ascolta perché poi i politici ne terranno conto - può essere vista in vari modi. Qualcuno grida evviva, da delle idee, discute nel gruppo, si sente utile e protagonista, crede di appartenere a una comunità che si autodetermina. Altri pensano che sia inutile, partecipa senza entusiasmo - perché nei politici non ci crede più, che alla fine decidono tutto loro - e vota per la soluzione che gli permetterà di trarne più vantaggi. Alcuni poi sono più critici, si sentono presi in giro - pensano che i soldi pubblici dovrebbero essere spesi meglio - umiliati, alienati e presi in giro, provano rabbia. La maggior parte dei cittadini non crede più nella politica, a stento va a votare, perché dovrebbe credere nella partecipazione?
Il diritto alla responsabilità, la solidarietà, i beni comuni, tutti quei nobili ideali che ci rendono fieri di essere umani, stanno perdendo qualsiasi valore. Dopo l'individualismo e la massificazione è il momento della resa incondizionata alla forza schiacciante della democrazia rappresentativa, che non ha alternative possibili e può addirittura permettersi di simulare la partecipazione diretta per costruirsi un alibi nel quale nessun elettore riesce più a credere.
Mentre sono offerte, come regali, occasioni uniche di far sentire la propria voce, di rendersi utili e di agire per il bene di tutti, aumenta la sorveglianza su tutte quelle attività spontanee che non rientrano all'interno di processi organizzati dall'alto. Forze d'ordine e telecamere controllano che nessuno si occupi di questioni che non lo riguardano. Provate a piantare salvia e rosmarino in un'aiuola pubblica, a usare una struttura nel parco, sempre chiusa perché gestita da trent'anni dalla stessa organizzazione, a proiettare il cinema in piazza d'estate o a improvvisare un concerto nell'arena pubblica. La mancanza del permesso, non aver seguito l'oscura procedura burocratica del caso, qualifica immancabilmente questo tipo di azioni come illeciti che l'ordine pubblico non può tollerare. Quindi la partecipazione calata dall'alto, anche se ben finanziata, non funzione e quella nata dal basso, spontanea, anche se non costa e non danneggia nulla, viene ostacolata.
Ma se ci fosse un bilancio partecipato? Se una parte dei soldi pubblici dovesse, per legge, essere spesa secondo i bisogni dei cittadini? Se le decisioni riguardanti i beni comuni dovessero essere davvero condivise? Forse le persone si esprimerebbero e si confronterebbero più volentieri. All'inizio ognuno cercherà di difendere i suoi interessi, ma dialogando, negoziando, discutendo converrà a tutti trovarsi d'accordo su alcune scelte, per non restare con un pugno di mosche.
Se non ci sono regole chiare e condivise, nessuno giocherà mai a questo gioco. A nessuno piace adoperarsi per qualcosa se sa che potrebbe essere completamente inutile. Perché sforzarsi? Meglio risparmiare le energie e approfittare della situazione favorevole quando si presenta, saperla riconoscere e coglierla al volo. Qualche ipocrita è capace di definire questo comportamento egoista, furbo, menefreghista, mentre è semplicemente umano.
Le regole e i soldi sono solo una parte del problema, il semplice supporto di una scultura sociale complessa. Senza incontro, confronto, ascolto, dialogo non c'è partecipazione. Se si chiede semplicemente di votare per scegliere tra un nuovo skate-park o una bocciofila c'è solo contrapposizione tra fazioni, competizione, conflitto, ma se si raccogliessero le mozioni di gruppi ristretti di abitanti, che si confrontano direttamente sui bisogni della gente e sulla qualità della vita, forse si aprirebbero dei percorsi comuni per costruire beni o diritti più duraturi, curati e controllati dagli abitanti stessi, autogestiti.
La vera sfida dei popoli di oggi è riappropriarsi dell'ambiente vissuto nel quotidiano, di ritrovare la coesione dei deboli rispetto alle grandi forze economiche e finanziarie che ci dominano. È innanzitutto un problema sociale, di coscienza di classe, d'immaginazione, di creatività, ma poi anche un problema di organizzazione, di struttura, di regole e rituali.
Ma quanto sarebbe bello provare a immaginarcelo insieme!