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NON MI PIEGO ALL'IMPIEGO

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  Lavoro come bene supremo, fondamento della cosa pubblica, diritto fondamentale, anche se inutile, alienante, deprimente, anche se stressante, massacrante, pericoloso. Davvero vogliamo accontentarci di difendere un lavoro che ha il solo scopo di darci un salario col quale comprare merci e servizi? Un lavoro che è sempre più un impiego, appartenente alla sfera del valore e non a quella dei valori, che ci procura soldi per comprare dei beni ma non ci procura dei beni per prenderci cura e sostenerci a vicenda. E’ così da quando si è separato il lavoro dall’abitare , sono nati i luoghi di lavoro (che fino alla metà del ‘700 erano dentro o vicino a casa) per separare i lavori che producono reddito da quelli che curano il prossimo (per esempio le casalinghe) senza alcun riconoscimento monetario. Da allora il lavoro è sempre stato misurato sulla quantità di valore piuttosto che sulla qualità dei valori. La globalizzazione sposta la produzione, l’automazione provoca la disoccupazione, c

APPUNTI DAL LIBRO “la società automatica” di B. Stiegler

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  La nostra società non è basata sul lavoro ma sull’impiego. Il lavoro impegna tutto il soggetto nel suo insieme nella creazione di un’opera, mentre l’impiego sfrutta una parte del soggetto (competenze) per costruire prodotti in cambio di uno stipendio. L’obiettivo non è più l’opera e la sua utilità economica, ma la somma di denaro che ci permette di comprare servizi e merci. Questo genera alienazione in quanto allontana le persona dagli effetti delle loro azioni, isolandole in un ingranaggio del sistema, con pochissime possibilità d’espressione. Le reti sociali rappresentano un’opportunità per uscire dal sistema, valorizzando la persona in termini finanziari, trasformandola in una merce ad alta visibilità e diffusione. Ma il web non è lo spazio democratico nel quale si sperava trent’anni fa, è dominato da pochi grandi imperi in grado di controllare l’informazione, il commercio e le reti sociali, grazie alla raccolta di un gran numero di dati che vengono elaborati dai computer per

ABITARE LOCALE

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  Il rifugio, il nido, la tana, sono considerati una necessità primaria di moltissimi animali, sia nomadi che stanziali. Fin dalle prime comunità umane i ripari venivano separati in più parti per definire, se non un dominio, degli ambiti di competenza dove una famiglia o una coppia potevano trovare persone, oggetti e atmosfere più intimi. Abitare deriva dal verbo avere che richiama il possesso e il controllo. Significa avere un ambiente noto, che si conosce bene, di cui si ha l’abitudine e nel quale ci si sente al sicuro, tra amici, a casa. Nel tempo il verbo abitare è stato usato anche nel senso di avere un habitus , cioè un particolare modo di essere. L’abitazione viene così identificata come il luogo dove si possono creare, conservare e intensificare particolari modi di essere, dove si coltiva un’identità. L’abitare è strettamente legato al controllo di uno spazio. Chiamiamo abitazione uno spazio che possiamo sottrarre alle intemperie, alla luce, ai pericoli esterni. A

ANTROPOLI

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      Le città e l’urbanizzazione degli ultimi 200 anni sono la forma più rappresentativa dell’Antropocene, il vero volto di un’umanità dominata dal denaro, dai beni di consumo e dall’individualismo. Le immagini delle città ci parlano di noi: grattacieli e baracche raccontano delle crescenti disuguaglianze sociali, le zone monofunzionali (industriali, residenziali, turistiche, direzionali, …) provocano l’aumentare dei confini e delle situazioni di margine dove un magma di reti infrastrutturali (strade, parcheggi, ferrovie, elettrodotti, …) ci dice quanto è grande il territorio abitato. Alla concentrazione di capitali segue la concentrazione di attività e di abitanti dando forma a conurbazioni gigantesche, di decine di migliaia di Km quadrati e decine di milioni di abitanti. A questi addensamenti corrispondono immense aree desertificate e vasti territori sfruttati dagli investimenti finanziari o industriali. Le costruzioni dell’uomo hanno sempre rappresentato la forza e la ric