IL MESTIERE DI URBANISTA - Françoise Choay


Storico, insegnante e scrittore



URBANISME un Métier

interviste di Angelo Ferrari sul mestiere di urbanista (Parigi 2004)


intervista pubblicata in "Opere"



I_ Come può il concetto di valore storico, documentale, memoriale,

difendersi dalla rendita e dal consumo? Per esempio, nel caso di Firenze, se lo conosce…

FC_ Si, conosco Firenze…
Direi che questo è oggi il problema maggiore.
Penso che oggi sia assolutamente drammatica, in particolare, l’oggettivazione di quello che in Francia si chiama monumento storico, mentre ora si dice che è patrimonio.
L’effetto di trasformarlo in oggetto da museo, per il suo valore storico o per il suo valore estetico, è perfettamente giustificato ad un certo punto della nostra storia ed è stato l’occidente ad inventare ciò. E’ stata l’Europa occidentale, nella cultura comune alle diverse varietà, secondo i paesi, ad inventare questa forma. All’inizio si trattava di un concetto che non era legato al denaro, si è legato al commercio ed all’industria del patrimonio da quando la mondializzazione è entrata in una nuova fase, nella quale questo modello di rapporto è stato proposto agli altri paesi del mondo. Nel ’31 non c’erano ancora i problemi di oggi, non siamo ancora nell’era della mondializzazione che è cominciata intorno agli anni ’60.
C’è una cosa che trovo assolutamente straordinaria, che è di vedere che quando c’è stato il primo colloquio internazionale sui monumenti d’architettura, nel 1931 ad Atene, erano presenti solo degli europei. Non c’erano individui di altri paesi!
E’ peraltro chiaro che, al di fuori di Giovannoni, tutti erano in una visione archeologizzante delle cose.
In questo senso, per me, Giovannoni è qualcuno che, avendo integrato la lezione di Ruskin e di Camillo Sitte nella modernità, ha avuto le idee più utili per la situazione contemporanea, ha dato, nel suo tempo, la risposta più avanzata. Credo che, prima del ’31, egli è il solo ad aver cercato un’integrazione dei monumenti nella vita, ad aver proposto una visione nella quale i manufatti non sono degli oggetti.
Ruskin è stato geniale perché è stato il primo a capire che l’unico modo di trattare le cose del passato è di considerarle come qualcosa di sacro, ma che abbiamo il dovere di continuare, che non si tratta di oggetti da museo. Il merito di Giovannoni è stato quello di inserire queste idee in una visione di accettazione di quella modernità che Ruskin non accettava, pur accettando la storia. Inoltre Giovannoni ha saputo integrare bene la lezione di Ruskin con l’analisi di Camillo Sitte, che evidenzia l’eccezionale qualità dei tessuti antichi.
Penso dunque che la risposta alla sua domanda sia di servirsene e di utilizzarli secondo le nostre differenze e non a banalizzarli affinché diventino beni universali per tutti.

I_ Questo comporta una riflessione sull’utilità dei manufatti antichi…

FC_ Allora, bisogna vedere a cosa possono servire perché oggi,
secondo me, il problema è che stiamo perdendo una qualità fondamentale della nostra identità umana a causa della normalizzazione dello spazio. Questo patrimonio deve oggi restituirci non la memoria, ben inteso anche la memoria che siamo un gruppo e che i francesi non sono come gli italiani né come i tedeschi, ma siamo innanzi tutto degli umani, che hanno bisogno di uno spazio ad una determinata scala, articolato, una relazione vivente col nostro contesto.

I_ E’ ancora possibile pensare alla ricostruzione di un codice
spaziale condiviso e comunicante? Cioè, può esistere un senso per il monumento ed il progetto contemporaneo?

FC_ Penso che tutto quello che ha detto Magnaghi sul progetto
locale è capitale. Non si possono inventare spazi astratti, bisogna che siano inseriti in un contesto. Penso che sia importante recuperare questi contesti locali e la scala locale, contro, per esempio, la concezione al computer che fa sì che non ci sia più assolutamente bisogno del contesto.
E non solo il progetto deve essere pensato in un luogo ma anche in mezzo alle persone perché questo spazio ha valore per gli individui.

I_ La mobilità degli stanziamenti (gli urbani nelle campagne, i non
occidentali in occidente) potrebbe, secondo lei, stimolare la differenziazione e l’arricchimento della qualità della vita oppure, al contrario, nutre il conflitto e la crisi dello spazio pubblico?

FC_ Io temo che finisca in una completa normalizzazione e non
trovo che sia positiva. Anche solo negli anni ’60 il mondo era molto meno uniforme, meno noioso. Il problema è che oggi si può fare qualsiasi cosa, è il pericolo peggiore, una specie di gioco, è molto astratto.

I_ Vi cito Marc Augé e Jaques Derrida. Il primo dice: “l’esotismo è
definitivamente morto o morente. ”Il secondo: “il legame topo-politico è perduto.” Per inquadrare la mutazione in atto e per chiederle se debba essere accettata oppure…

FC_ No! Io non sono affatto d’accordo per accettare le cose, sono,
al contrario, per non accettarle. Vi citerò allora il più grande filosofo delle scienze in Francia (Jean Toussanit Desanti): “rimango ottimista perché ho fiducia nella capacità di rivolta degli uomini e ritengo per a-umano tutti coloro che…(??)”
Per me, la posizione peggiore è quella di Rem Koolas che
accetta l’idea di liberare il contesto.
Per l’appunto, penso che non ci siano ragioni di pensare che non riusciremo a ritrovare una dimensione politica attraverso lo spazio. Non c’è più uno spazio politico perché ci si serve solo di spazi fuori scala, smisurati e, di conseguenza, gli umani non trovano più il loro posto. Penso che sia possibile ritrovare degli spazi di vita politica, con delle nuove figure politiche, un’altra dimensione della vita politica.

I_ Ma in fondo la gestione dell’esistente e la programmazione delle
trasformazioni seguono dei modelli insediativi antichi adattandoli alle pratiche dell’abitare contemporaneo. In particolare penso al predominare di un’interpretazione della città per sistemi e reti che sembra sovrapporre modelli immateriali, flussi di dati, a modelli spaziali che restano invariati.

FC_ Non restano tanto invariati purtroppo. Penso che oggi si è
arrivati a visioni terribili che, personalmente, chiamo gli spazi di connessione (plug-in), dove ci si collega alle reti e non si ha più bisogno di nessuno. Le società contemporanee credono di essere molto più libere di prima nelle pratiche spaziali, ma questa è una falsa libertà poiché è in atto un processo di normalizzazione, diventiamo tutti uguali. Allo stesso tempo poi è in atto un processo di de-istituzionalizzazione che permette all’individuo di fare fronte,
da solo, alla sua vita e si perde coscienza di cosa sono le
regole, le leggi comuni, eccetera…

I_ Il dibattito sulla città dovrebbe essere intensificato o diretto
altrimenti?

FC_ Piuttosto che dibattere su argomenti sempre più astratti
bisognerebbe tirarsi su le maniche e darsi da fare. Penso veramente che siano le imprese locali le sole a poter trovare delle soluzioni.

I_ Pensate che ci siano dei problemi nella trasmissione del savoir-
faire?

FC_ Penso che questo sia un punto essenziale! E’ una delle cose
più urgenti da recuperare. Se non lo facciamo tutta una memoria del corpo e sociale scomparirà, sarà irrimediabilmente persa, perché non si possono trasmettere queste pratiche con delle leggi astratte, per esempio tramite internet.Il savoir-faire passa attraverso l’esperienza diretta e la comunicazione orale.

I_ Il progetto urbano deve assecondare le tendenze del mercato
oppure impadronirsi delle tecniche di comunicazione proprie del marketing per promuovere nuovi modelli insediativi?

FC_ Io ho molta paura della nozione di modello perché la trovo
stereotipata. Penso che Magnaghi abbia esposto un concetto molto buono quando parla di mondializzazione dal basso. Quello che vuole dire
è che non sopporta che noi siamo dominati dall’alto, ma che bisogna che le iniziative partano dal basso cioè dai cittadini. A quel punto si utilizzano le tecniche performanti ed i mezzi attraverso i quali veniamo oggi normalizzati. Questa è un’utilizzazione positiva, non bisogna essere passeisti dicendo che tutte le nuove tecnologie sono negative.

I_ Ma questa alternativa richiede una certa partecipazione attiva dei
cittadini, che è quello che più manca oggi.

FC_ Ecco, esattamente. Per rispondere alla vostra domanda penso
che Nino Bogazzi fa la cosa giusta, aiutando gli abitanti a partecipare alle iniziative di trasformazione dei quartieri di Parigi. Il ministero della cultura dovrebbe sostenere azioni in questo senso.

I_ Come trovate la comunicazione tra gli attori della costruzione
della città?

FC_ Penso che, in Francia, ci sia un vero problema nella


formazione degli architetti, come nei mestieri dell’artigianato e dell’agricoltura. Bisognerebbe riprendere una riflessione critica ed un’analisi generale della situazione, anche da parte dei politici, solo a queste condizione è possibile una presa di coscienza degli effetti catastrofici della mondializzazione. Ma non è facile. Io osservo che, tra gli architetti, la maggior parte sono degli uomini d’affari, quelli che potrebbero non esserlo non hanno più la formazione per saper fare. Siamo in una situazione per niente divertente.



intervista originale

Le process d’occidentalisation auquel partecipent les média fait de plus en plus coincider les modèls de vie avec les modèls de consommation.
Entre les conséquences possibles il y a l’enlargissement du concept de patrimoine, la perte d’identité architecturale, les migrations.

_ Comment le concept de valeur, historique, documentale, memoriale, peut-il se défendre
de la rente et de la consommation? Par exemple dans le cas de Florence, je ne sais
pas si vous connaissez…

_ Oui. Je dirais que c’est le problème majeur aujourdh’ui.
Je pense que aujourdh’ui c’est absolutement drammatique parce-que, précisement,
l’objectivation de ce que in France on appelle le monument historique, maintenant
on dit que c’est du patrimoine, l’effet de le transformer en objet de musée, soit pour
leur valeur historique, soit pour leur valeur extetique est perfaitement justifié à une
certaine époque de notre histoire, ça a été l’occident qui a inventé ça, c’est l’Europe
de l’ouest qui, dans la culture commune avec les varietées d’ailleure, selon les pays,
a inventé cette forme, mais qui été quelque chose qui n’été pas lié à l’argent et c’est
lié au commerce et à l’industrie du patrimoine dépuis que la mondialisation est entré
dans une nouvelle phase et que nous avons proposé ce modèl de rapport aux
autres pays du monde. C’est cette chose que je trouve absolutement extraordinaire
qu’est de voir que lorsqu’il y a eu le prémier colloque internationale sur les
monuments d’architecture en 1931 à Athène, et bien, il n’y avais que les européens,
il y en avais pas d’autres, et on été encore dans cette vision, d’ailleure c’été trés trés
net, sauf Giovannoni tout le monde est dans des visions archéologisantes des
choses. Giovannoni, en ce sens, pour moi, est quelqun qui a integré la lesson de
Ruskin et qui a finalement dans les idées, sont les idées plus utilisables aujourdh’ui.
Il n’y a pas encore des probléms en ’31, on est pas dans l’ère de la mondialisation,
tout ça a commencé dans les années ’60, et pour moi il a donné pour son époque la
réponse la plus avancé, c’est a dir la réponse qui integré dans la vie et qui faisait
que les choses n’été pas des objéts pour lui et ça je crois qu’il est le seul à avoir dit
ça avant 1931, c’est à dir qu’il a répris les idées de Ruskin mais dans une vision qui
été une vision d’acceptation de la modernité. Ruskin, qui voudrais d’ailleure
accepter l’histoire, il accepte l’histoire mais il n’accepte pas la modernité et ça c’est
une chose assais étonnante, mais il a été absolument génial puisqu’il est le seul à
avoir compris que la seule façon de traiter ces choses du passé c’est vraiment de
les considerer comme quelque chose de sacré mais que nous avons à continuer,
que ce n’est pas des objets de musée et ça il l’a trés trés bien dit.
Pour moi Giovannoni a été formidable parce que il a integré ça et il a integré
l’analyse de Camillo Sitte qui montre la qualité exeptionnelle des tissus anciens.
Donc je pense que la seule réponse c’est de s’en servir et de l’utiliser mais
de l’utiliser avec nos differences et non pas le banaliser pour que ça devien un bien
universel pour tout le monde.
Alor il faut voir à quoi ça peut servir parce que aujourdh’ui le problème, à
mon avis, est que nous sommes en train de perdre, avec la normalisation de
l’espace, une qualité fondamentale de notre identité humaine et que aujourdh’ui ce
patrimoine doit nour rédonner, non pas la memoire, bien entendu que c’est aussi la
memoire du fait que nous sommens un grup et que les françaises ne sont pas
comme les italiens ni comme les allemands, mais aussi nous sommes des humains
qui ont besoin d’un espace à une certaine échelle, un espace articulé, une rélation
vivante avec notre context.

_ Est-il encore possible penser à la réconstitution d’un code spatiale partagé et qui
communique? C’est à dire, peut-il exister un sens pour le monument et le projet
contemporain?

_ Je pense que tout ce que Magnaghi a dit sur le projet local est capital.
On peut pas inventer les espaces abstraits, il faut que ce soit ici, là, dans un
context, et que c’est la récuperation de ces contexts locaux et de l’échelle locale,
contre, ce qui est terrifiante aujourdh’ui, la concéption assisté par ordinateur qui fait
qu’on a absolument plus besoin du context.
Et non seulement un projet doit etre dans un lieux mais aussi au milieu des
personnes, parce que cet espace il vaut pour les individues

_ La mobilité des établissement (les urbains dans les campagnes, les non occidentaux in
occident) peurraient-ils, selon vous, stimuler la differenciation et l’enrichissement du
cadre de vie, ou, par contre nourrissent le conflit et la crise des espaces publiques?

_ Moi je pense que ça abouti à une normalisation complète et je ne trouve pas qu’il soit
positif. Seulement dans les années ’60 le monde été beaucoup moins uniforme,
moins ennuyeux. Le probléme est que aujourdh’ui on peut faire n’importe quoi, c’est
le pire des dangers, c’est un éspèce de jeu, c’est trés abstrait.

_ Je vais vous citer Marc Augé et Jaques Derrida.
Le premier dit “ l’exotisme est définitivement mort ou mourant.”
Le deuxiéme “ la liaison topo-litique est perdue.”
Pour encadrer la mutation et pour vous demander s’il doit etre accepté ou par
contre…

_No! Moi je ne suis pas du tout pour accepter les chose, je suis au contraire pour ne pas
les accepter. Je vais vous citer alor le plus grand philosophe des sciences in France
(Jean Toussanit Desanti) “je reste optimiste parce-que j’ai confiance dans la
capacité de révolte des hommes, et je tiens pour a-humain tous ceux qui s’empoient
à …..”
Pour moi l’horreur c’est Koolas qui dit qu’il libre le context et on accepte. Je pense
que, justement, il n’y a pas des raisons que nous ne rétrouvions pas le politique à
travers l’espace. Il n’y a plus d’espace politique parce que on se sert plus que
d’espaces hor d’échelle, démésurés, donc les humains manque de leur place. Je
pense que c’est possible rétrouver des espaces de vie politique, avec des nouvelles
figures politiques, un autre dimensionnement de la vie politique.

Les processus qui ménent à la construction de la ville sont basés sur la communication et
la concertation. La gestion de l’existant et la programmation des transformations suivent
des modèls anciens d’établissement tout en les adaptant aux pratiques de l’habiter
contemporain. En particulier la dominance d’une interpretation de la ville par systèms et
reseaux semblent superposer des modèls immateriaux, flux de données, aux modèls
spatiaux qui restent invariés.

_ Ils ne restent pas tellement invariés malhereusement. Je pense qu’aujourdh’ui on est
terriblement à ce que personnelment j’appelle les espaces de branchement, où on
se branche sur les reseaux et on a plus besoin de personne. Meme dans les
pratiques d’espace, on est dans des societées qui s’immaginent qu’elles sont
beaucoup plus libres que avant, ce qui est une fausse liberté puisque il y a une
normalisation et tout le monde est pareil, mais au meme temp il y a une
désinstitutianisation qui permet que ciacun fait face à sa vie et que on sait plus ce
que c’est les règles, les lois communes etc…

_ Le débat au sujet de la ville doit être intensifié où dirigé autrement?

_ Plutot que débattre sur des choses de plus en plus abstraites il faut relever ses manches
et se dir de faire. Je pense que ce sont vraiment les entreprises locales qui
metrisent les solutions.

_ Est-ce que vous pensez qu’il y a des problèms dans la transmission des savoir faire?

_Je pense que c’est essentiel. C’est une des choses les plus urgentes à récuperer.
Si on le fait pas ça va disparetre et c’est toute une memoire du corp et sociale qui va
s’en aller irremediablement, parce que on peut pas rendre ces pratiques par des lois
abstaites, par exemple par internet. Le savoir-faire il passe à la foi par l’experience
et par la communication orale.

_ Le projet urbain doit-il suivre les tendences du marché ou s’emparer des téchniques de
comunication propres du marketing pour promovoir nouveaux modèls?

_ J’ai orriblement peur de la notion de modèl parce que c’est figé. Mais je pense que
Magnaghi a un trés bon concept quand il parle de mondialisation par le bas. Ce qu’il
veut dir c’est qu’il ne supporte pas que nous soyons dominé par en haut, mais qu’il
faut que les initiatives partent du bas, c’est à dir des citoyens. A’ ce moment là on
utilise les techniques performant et les moyens par lesquelles on nous normalise. Il
y a une bonne utilisation comme ça. Il ne faut pas du tout etre passeiste en disant
que toutes les nouvelles technologies sont négatives.

_ Mais cet alternative demande une certaine participation active des citoyens, que c’est ce
qui manque le plus.

_ Voilà, exactement. Pour répondre à votre question je trouve que Bogazzi il fait ce qu’on
devrais faire et je lui ai dit que je vais écrire au Ministre de la culture pour lui
demander de faire quelque chose dans ce sens là.

_ Comment touvé-vous la communication entre les acteurs de la construction de la ville?

_ Je pense que, exactement comme dans les metiers de l’artisanat, de l’agriculture, il y a in
France un vrai probléme de formation des architectes. Il faudrais réprendre toute
une reflexion critique et toute une analyse de la situation, aussi pour les élu, et
seulement à ces conditions là est possible une prise de consience des effets
catastrofiques de la mondialisation. Mais ce n’est pas facile. Je vois chez les
architectes, la plupart sont des hommes d’affaires, ce qui pourrais ne pas l’etre n’ont
plus la formation pour le savoir faire, on est dans une situation qui n’est pas drole.


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